Il francoprovenzale di Tullio Telmon
Francoprovenzale e` la definizione con cui dal 1873, anno in cui il glottologo Graziadio Isaia Ascoli ne individuo' le caratteristiche principali, i linguisti di tutto il mondo raggruppano i dialetti delle vallate alpine del Piemonte occidentale che vanno dalla Val Sangone a sud, fino alla Val Soana, comprendendovi la bassa Val di Susa, la Val Cenischia, la Valle di Viu' , la Valle d'Ala, la Val Grande, di Lanzo e la Valle dell'Orco; a questi dialetti fanno riscontro inoltre quelli della Val d'Aosta e, al di la' delle Alpi, quelli della Svizzera Romanda e quelli di diversi dipartimenti della Francia sud-orientale.
Se dovessimo definire il Francoprovenzale, potremmo forse chiamarlo "una lingua mancata" . Dopo un inizio brillantissimo e promettente, (si pensi, per esempio, alla poesia di Margherita d' Oingt ) , il processo di unificazione e di centralizzazione della Francia ha impedito che si affermasse un'unita' linguistica per quella costellazione di parlate che noi oggi riuniamo scientificamente sotto la denominazione di Francoprovenzale. La definizione, che risale al glottologo italiano Ascoli, e`percio' una definizione in negativo : e` francoprovenzale cio' che non e` Francese, non e` Occitano, non e`Galloitalico o Piemontese.
Eppure, esiste qualche cosa - certamente assai meno facile da definirsi scientificamente - che lega idealmente i 70.000 francoprovenzali delle vallate alpine dal Sangone alla Dora Baltea con quelli francesi del Lionese, del Forez, della Savoia, del Giura e con quelli Svizzzeri del Vallese, di Neuchatel, di Friburgo,ecc. Questo "qualche cosa", connotato non piu' in negativo, ma in positivo, e`la comune coscienza di una identita' che scavalca i confini "naturali" della catena alpina e quelli artificiali tra stato e stato. E` la fierezza che si cela dietro alla frase "noi parliamo nel nostro modo", " noi parliamo patois".
Ed ecco dunque quell'unita' storica che e`mancata, quell'unita' linguisitica che si e`frammentata in tanti dialetti, ricongiungersi nel riconoscimento di un 'identica cultura alpina e di caratteristiche comuni nel mondo di parlare. E`vero che, per indicare il momento del disgelo, si dice "dazgeillet" a Ribordone,"zgeillet" a Chialamberto, "dezgeillet"a Balme, "dijale" sulla montagna Condovese, "dejalet" a Mattie, "dezjalat"a Coazza, "dezale"a Bessans, "dezile"a Tigne, e cosi' via; ma e` altrettanto vero che, dietro a questa apparente diversita', esistono due realta' unificanti di importanza enorme: innanzitutto, la comune esperienza, da parte di tutte queste localita', del disgelo come momento dell'inizio della bella stagione, e del lavoro nei campi, in secondo luogo, la parziale somiglianza di tutti questi patois che rende in fondo possibile con qualche piccolissimo sforzo di adattamento, la reciproca comprensione.
Comprensione che non e` invece possibile fra patois e piemontese, tra patois e francese, tra patois e italiano.
Al di la' delle differenziazioni interne, dunque, cio' che va salvaguardato e difeso con coraggio ed accanimento e` la coscienza della propria peculiarita' storica, linguistica e soprattutto culturale. Difesa che non vuole significare ostilita' per chi e ` diverso o volonta' di soppraffazione-come purtroppo e`spesso accaduto ed ancora accade - ma semplicemente affermazione del diritto inalienabile ad essere, appunto , "francoprovenzali",e a comportarsi, linguisticamente e culturalmente da francopprovenzali.